Quelle coperte dorate simbolo d’accoglienza che brillano sui portoni delle chiese.
Giovanni De Gara è un’artista fiorentino che ha dato vita al progetto Eldorato, termine che deriva dall’ebraico EL, che significa Dio, il Dio Dorato, e il riferimento qui è alle persone che abbandonando la propria terra ne approdano in un’altra, la quale diviene così «madre in spirito». Presentando Eldorato, opera artistica che si articola in una serie di installazioni, le quali hanno alla base le coperte isotermiche dorate usate per il primo soccorso, ed entrate nell’immaginario collettivo come “veste dei migranti”, l’artista Giovanni De Gara spiega: «Il progetto ha l’obiettivo di promuovere una riflessione sul tema dell’accoglienza verso ogni individuo, senza distinzione di razza e genere». E poi ancora: «Eldorato racconta l’illusione di questo millennio, l’esistenza di una terra dell’oro, dove ci sono benessere e futuro». Prosegue De Gara: «una terra lontana di cui si immaginano meraviglie che splende d’oro per la bellezza e semplicità del suo messaggio, non per i carati che contiene. Il messaggio che anche io vorrei trasmettere è di pace, speranza uguaglianza, lo stesso del Vangelo, il vero splendore della chiesa».
Così, l’idea dell’installazione è semplice, ma con un effetto notevole: rivestire con l’oro delle coperte termiche i portoni di ingresso delle chiese e anche di edifici pubblici, per lanciare un segnale, che poi è lo stesso lanciato lo scorso 13 giugno dalla rete #Ioaccolgo http://www.ioaccolgo.it/ con il flashmob in Piazza di Spagna: la pretesa di costruire un altro mondo che non sia fondato sull’odio e sulla paura, ma sulla solidarietà, sull’uguaglianza e sulla libertà, «dove a tutti gli esseri umani, a prescindere dal colore della pelle, dalla religione e dalla provenienza, siano riconosciuti pari dignità ed eguali diritti», per citare proprio il Manifesto alla base di #Ioaccolgo. Intanto, il 28 giugno del 2018, a Firenze, era già cominciato il viaggio di Eldorato https://www.facebook.com/eldoratoproject/ quando le tre porte dell’Abbazia di San Miniato al Monte, in occasione delle celebrazioni del millenario della sua fondazione, erano state ricoperte con “l’oro salvifico” con cui sono state ornate, nei mesi successivi, molte altre chiese: battiste, cattoliche, metodiste, valdesi, e di altre confessioni, tra cui la chiesa di Lampedusa, ma anche altri tipi di edifici pubblici, come il maschio Angioino a Napoli e la porta d’ingresso del Comune di Palermo. Come ha scritto lo storico dell’arte Tomaso Montanari: «Ebbene, di fronte a queste porte d’oro – di fronte a quei corpi – io non vorrei fare lo storico dell’arte. Non voglio avere alcun distacco, alcun giudizio critico. Voglio prenderla sul serio, questa arte». Perché, se «la Porta d’Oro di Gerusalemme era quella attraverso cui si manifestava la presenza di Dio, le porte d’oro di Giovanni de Gara invocano la nostra umanità, la interpellano senza sosta perché torni a manifestarsi».
Nel tempo in cui le persone, i rifugiati, i richiedenti asilo che arrivano sulle nostre terre pensano e sperano di trovare una terra dorata fatta di pace, lavoro e benessere, ma nel migliore dei casi trovano ad accoglierli solo l’oro di una copertina isotermica, l’artista Giovanni De Gara sceglie di concepire l’arte come suggeriva di fare Michel Foucault nell’ultimo corso tenuto al College de France prima della morte (Il coraggio della verità, 1984). L’arte come mezzo di verità, dunque, di dire il vero; l’arte che stabilisce con la realtà un rapporto che non è più solo di ornamento e di imitazione, ma che diviene di «messa a nudo, di smascheramento, l’arte che accetta il coraggio e il rischio di ferire».